Il mandala nella spiritualità buddhista
Il mandala è il sacro diagramma mistico, la raffigurazione schematica della struttura dell’universo. I mandala si realizzano generalmente intorno a un nucleo centrale, un mandala autonomo che rappresenta l’integrità iniziale e finale del processo mistico (l’essenziale identità di potenza e atto) che via via si dischiude in figure simmetriche sempre più gradi ed elaborate, generalmente disposte intorno a un numero di quadrati e cerchi concentrici dotati di porte e costellati di numerose figure di Buddha, Bodhisattva, divinità guardiane. Il tutto è inscritto in un cerchio dalla forma di Loto stilizzato. Le divinità, dall’aspetto calmo o irato, mite o terribile, sono i simboli del dualismo essenziale delle energie psichiche e cosmiche che il mistico deve vincere durante la meditazione.
La realizzazione del mandala
I mandala “si realizzano”. Il pronome si ha qui due significati inseparabili: è usato in senso sia passivo sia riflessivo. Il mandala infatti si realizza, nel senso che viene realizzato, disegnato da uomini. Ma il mandala si realizza anche nel senso che esso realizza se stesso, attraverso il disegno, in quella forma e solo in quella forma. I due significati perciò non possono essere separati perché il mandala non potrebbe realizzarsi se non fosse disegnato da uomini o donne, ma gli uomini o le donne non potrebbero disegnarlo se il mandala non si realizzasse come schema archetipico in quella forma precisa.
Lo schema del mandala
Le immagini del mandala raffigurano, più precisamente, il dramma del processo cosmico, la cosmogonia buddhista (simile a quella zen, taoista, orfica, pitagorica e neoplatonica) che interpreta il mondo come la degradazione e la frantumazione dell’Uno nel molteplice: il Tutto iniziale, integro, indiviso si divide nell’opposizione maschio-femmina, che a sua volta si decompone fino alla moltitudine della molteplicità. Così nasce il complesso schema del mandala, il simbolo, come lo chiama con efficacia uno dei più grandi orientologi di tutti i tempi, lo studioso italiano Giuseppe Tucci, del dramma “della disintegrazione e della reintegrazione” dell’universo, il cosmogramma, lo schema essenziale del cosmo, la proiezione geometrica del mondo.
Nel mandala non solo si proietta l’universo nella sua essenza, si rivela anche il processo psichico nella sua sostanza. Le divinità maschili e femminili, beate e terrificanti del mandala, sono infatti la rappresentazione e la manifestazione della moltitudine di immagini e apparenze che la mente produce e che si impegna a trasformare. Nella mente si riproduce in ogni momento la tragedia dell’universo, nel microcosmo il gioco ineffabile del macrocosmo. La mente, nella sua essenza, è l’universo ed entrambi, nella loro essenza, sono fatti della materia dei sogni.
Il mandala come mappa spirituale
Il mandala secondo il buddhismo è anche la mappa su cui è indicato il punto in cui è sepolto il tesoro della Verità, è il codice per decifrare i segnali misteriosi captati nella realtà: esso rappresenta la tragedia della disintegrazione dell’Assoluto nella molteplicità, l’oscuramento della Luce divina nel buio dell’abisso samsarico, ma rappresenta soprattutto il bagliore del riflesso divino nella notte del mondo, la brace sempre accesa sotto la cenere dell’illusione, pronta a divampare nel fuoco eterno della conoscenza. Il mandala segnala cioè che nel profondo della mente e dell’universo la Luce della Verità riflette perennemente. Il mandala stesso guida quel riflesso alla sua sorgente, fino a quando, nella Luce sfavillante della reintegrazione, riflesso e sorgente si fondono, vibrazione e riverbero si confondono, causa ed effetto si dissolvono, Uno e molteplice si annullano, vuoto e pieno di accorpano, increato e creato si ricongiungono, e l’essenza di ogni essere, finalmente ricolma della purezza della perfezione, vive la completezza dell’Uno, l’infinità dell’Assoluto, infinitamente sazia di se stessa.
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